Sabrina Misseri è stata condannata all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio della cugina 15enne Sarah Scazzi, assassinata ad Avetrana, in provincia di Taranto, nell’agosto 2010. Il movente…
Il nome di Sabrina Misseri e di sua madre, Cosima Serrano, sono parte principale della tragica cronaca dell’omicidio di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana (Taranto) nel 2010. Cugina di primo grado della vittima, Sabrina Misseri l’avrebbe uccisa per gelosia nella sua casa di via Deledda al culmine di una spirale di litigi per il presunto interesse della minore verso il ragazzo di cui era invaghita, Ivano. Sarebbe questo il movente del delitto, maturato nel contesto familiare e capace di imprimersi nella storia italiana come uno dei più atroci e sconvolgenti di sempre. A inchiodare Sabrina Misseri è stato il padre, Michele Misseri, inizialmente autoaccusatosi dell’omicidio e di una violenza sessuale post mortem sulla nipote.
Sabrina Misseri: la biografia
Sabrina Misseri, classe 1988, è nata a Manduria, in provincia di Taranto, il 10 febbraio sotto il segno dell’Acquario.
Per la giustizia italiana, che ha cristallizzato la sua responsabilità nel delitto di Avetrana con sentenza definitiva del 2017 in Cassazione, è lei l’assassina della 15enne Sarah Scazzi, sua cugina di primo grado che avrebbe assassinato nell’abitazione di famiglia in concorso con la madre Cosima Serrano (sorella di Concetta Serrano, mamma della vittima).
All’epoca dell’omicidio, avvenuto nell’agosto 2010, Sabrina Misseri avrebbe svolto abusivamente l’attività di estetista prestando servizio a diverse clienti nella sua casa di via Grazia Deledda, poi teatro dell’atroce fine della minorenne.
Innamorata di un giovane del paese, Ivano Russo, secondo l’accusa avrebbe ucciso la cugina 15enne perché gelosa del loro rapporto d’amicizia.
Sabrina Misseri e il delitto di Avetrana: il processo e la condanna per l’omicidio di Sarah Scazzi
Per l’omicidio di Sarah Scazzi, Sabrina Misseri e Cosima Serrano hanno incassato una condanna definitiva all’ergastolo e si trovano nello stesso carcere a condividere una cella da cui continuano a dirsi innocenti.
Michele Misseri, rispettiamente padre e marito delle due donne, avrebbe incastrato la figlia attribuendole la responsabilità del delitto dopo essersi inizialmente autoaccusato. Ad una prima fase da “reo confesso”, Michele Misseri avrebbe opposto una versione volta a dipingere la figlia come autrice materiale del delitto – che sarebbe avvenuto nel garage della loro casa – e a incorniciare il proprio profilo come responsabile della sola fase di occultamento del cadavere.
Il corpo di Sarah Scazzi, che risultava scomparsa dal 26 agosto 2010, fu ritrovato il 7 ottobre seguente su indicazione dello zio Michele Misseri in un pozzo all’interno di una sua proprietà terriera in contrada Mosca. Michele Misseri dissse di averne abusato dopo la morte, ma questo racconto choc non avrebbe mai trovato riscontro in sede di indagine.
Dopo aver ritrattato la confessione iniziale e aver indicato la figlia Sabrina Misseri quale responsabile del decesso della 15enne, Michele Misseri avrebbe fatto nuovamente dietrofront per tornare ad autoaccusarsi sostenendo che Sabrina Misseri e Cosima Serrano fossero estranee ai fatti. Nessuno gli avrebbe più creduto. Per lui una condanna definitiva a 8 anni di reclusione per la soppressione del corpo, figlia e moglie all’ergastolo in via definitiva per aver ucciso la piccola Sarah Scazzi.
L’autopsia avrebbe fatto emergere l’evidenza di una morte provocata da strangolamento con l’uso di una cintura. Secondo la ricostruzione dell’accusa, ad agire sarebbe stata Sabrina Misseri e sua madre Cosima l’avrebbe aiutata tenendo ferma la vittima perché non sfuggisse alla sua presa.
Secondo l’esito dell’autopsia, riportato nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, Sarah Scazzi sarebbe morta per “asfissia acuta, primitiva, meccanica e violenta messa in atto mediante costrizione del collo, con una cintura, durata circa 2-3 minuti” senza che la vittima opponesse resistenza.
Nel 2017, la Cassazione ha condannato definitivamente le due donne confermando la pena dell’ergastolo per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione già inflitta in primo e secondo grado dalla Corte d’Assise di Taranto.